La mia storia
Mi chiamo Restivo Placido, nato nel 1947 a Oliveri (Messina), mio padre era di Piazza Armerina e mia madre di Spartà (Messina). Il mio nome, Placido, lo devo al nonno materno che si chiamava Arena Placido, uomo singolare e di grande umanità. Di lui mi parlava sempre il figlio, cioè mio zio Giacomo, che abitava a Spartà, proprio di fronte a casa mia. Mio zio Giacomo faceva un po’ l’agricoltore, ma soprattutto d’estate, il pescatore. Spesso d’inverno si dedicava alla costruzione di nasse nuove oppure al riassetto di quelle vecchie. Gli sarebbero servite alla riapertura della stagione di pesca, che iniziava a marzo e durava fino a settembre.
Ricordo che lo zio si metteva intorno alle nasse al pomeriggio. Io spesso mi recavo da lui e rimanevo ore a guardarlo. Il momento più difficile era sempre quello iniziale, quando impostava la nassa, perchè bisognava saper districare e distribuire il groviglio delle listarelle di giunco.
Io ero affascinato, tanto che, quandolo zio smetteva e rientrava in casa, entravo nella sua stanza di lavoro e cercavo di imitarlo aggiungendo qualche giro alla nassa già in lavorazione. Lo zio fini per accorgersi che qualcuno ci metteva lo zampino e quel qualcuno ero io.
Non mi sgridò, anzi si offrì di insegnarmi. Lavorai tutto quell’inverno e costrui le 9 nasse necessarie a formare una “caloma”.
A maggio, un mattino, con lo zio giacomo uscimmo in mare, al largo di Capo Rasocolmo a circa 2 miglia dalla costa e calammo le mie nasse.
Allora non si usava mettere dei segnali per poter individuare la posizione perchè si temeva che, durante la notte le nasse venissero tirate su da qualcun altro.
Zio Giacomo, per riconoscere la posizione, aveva preso dei punto di riferimento sopra Capo Rasocolmo.
Dopo qualche giorno tornammo, io fremevo, quella notte non avevo dormito, già sognavo e vedevo i pesci che avrei trovato. Non fu cosi!
Le mie nasse non furono più trovate .
Da allora, per lunghissimo tempo, non ne costrui più. Continuai però ad aiutare lo zio nel suo lavoro. Amavo il mare e la vita del pescatore.
Quando con lo zio uscivamo in mare a recuperare le nasse, a me piaceva sporgermi dalla barca e guardarle giù, nel fondale, che salivano, con dentro polipi, aragoste, murene, ealtro pesce.
Il ritorno a terra avveniva verso le ore 12.
Il sole picchiava alto e il mare tutto intorno luccicava. Era uno spettacolo indescrivibile.
A terra riponevamo il pesce dentro una cesta fatta di canna e verga. Risalendo lungo la mulattiera che si inerpicava fino a Spartà, tra i cespugli odorosi della macchia mediterranea, raccoglievamo lunghe e rigogliose foglie di felci che mettavamo sopra il pesce, per proteggerlo dal caldo.
Non ho più dimenticato quei momenti.
La vita mi ha portato lontano dalla Sicilia. Ho lavorato come motorista sulle motovedette della G.di F. in altre regioni italiane. Ora mi trovo nel Veneto.
Dopo essere andato in pensione, tempo fa, durante una passeggiata, mi sono inaspettatamente imbattuto in un cespuglio di giunco.
Anche un cespuglio di giunco può dare felicità ed io fui felice.
Ogni anno ritorno in Sicilia, ad Oliveri (ME) dove sono nato, e a Spartà (ME) dove sono cresciuto.
Qui abita mio cugino, Arena Placido un tempo, per passione ottimo costruttore di nasse. Con lui ho parlato del cespuglio di giunco e con lui
piano piano mi sono ritrovato a ricordare quelle prime esperienze. Abbiamo provato a rifarle e da allora io non ho più smesso. Continuo a costruirne di tutti i tipi, grandi e piccole, ricavandone profondo piacere e gioia. Ma ciò mi riconduce alle mie origini e al mio essere ragazzo Siciliano in una famiglia di tradizione marinare.
Devo dire che ho un po’invaso la casa di nasse e che mia moglie brontola gentilmente, ma capisce e accetta.
(testo redatto da: Cagner Loredana – Zara)